Selfie con intrusi
A volte sono in metropolitana e voglio farmi un bell’autoritratto nel finestrino, ma trovo sempre gente in mezzo ai piedi, è da non credere.
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Tra il 1938 e il 1941 Walker Evans scatta una serie di fotografie ai passeggeri della metropolitana di New York, raccolte e pubblicate solo nel 1966 in un libro intitolato "Many Are Called". Per farlo, nasconde una Contax 35mm nel cappotto all’altezza del petto e sale sui vagoni, scattando foto a persone ignare di essere riprese e concentrandosi su loro volti ed espressioni. In metropolitana, spiega, «la guardia è abbassata e la maschera è calata. Il viso della gente è nudo». Il libro è un monumento dello “stile documentario”, lo splendido ossimoro messo da Evans a fondamento della propria poetica.
Nel 2017 ho deciso di rendere omaggio a questo libro cui sono molto legato e così di fare i conti con il tema della foto rubata, presa di nascosto senza il consenso del soggetto e con la strana dialettica che inaugura tra immagine muta e sua costruzione. Non potendo, per ovvi motivi, avvicinarmi a quel modello, invece di nascondere la fotocamera ho deciso di rendere palese e documentare il fatto stesso che la stessi nascondendo, cioè ho scattato foto ai soggetti con un normale cellulare mettendomi di fronte a loro, così da farmi contemporaneamente un selfie nel finestrino del vagone. I ritratti dei soggetti presenti nella metropolitana convivono così, fotogramma dopo fotogramma, con gli autoritratti dell'autore dei ritratti stessi, infilati nel quadro come presenza sbiadita, evanescente, che entra e esce dalla scena, facendola oscillare senza fine tra “documento” e “allestimento” e mostrando così in atto il processo di produzione del suo “effetto di realtà” e l'inevitabile, tragicomica o magica finzione che sostiene tutto ciò che chiamiamo realismo (o, meno pudicamente: reale).