Nei miei lavori artistici affronto temi quotidiani e comuni - la perdita, il dolore, l’identità, la morte, il desiderio - intrecciandoli a un interesse per i rapporti tra immagine tecnica, artistica, vernacolare, linguaggio verbale comune e letterario, e loro supporti materiali.
Negli anni mi sono interessato in particolare all’immagine fotografica (vedi sotto) per via del suo carattere ibrido e contemporaneo. Spesso non produco direttamente opere ex novo, ma partendo da qualcosa di preesistente cerco di farne di volta in volta un riflesso, un segno, una celebrazione e così via. La mia modalità operativa è spesso la serialità, la proliferazione di segni o la traduzione di segni in altri segni.

• Nella serie “Cover” ho considerato tre opere famose nell’ambito della fotografia artistica di tre epoche diverse e le ho riformulate e rifatte da capo in base a esigenze personali e contemporanee.

• In “Sono sempre stato qui” e in “Fotoromanzi” ho esplorato gli “infiniti modi di dire” prodotti dalle fotografie partendo da due lati diversi: da una singola fotografia in Sssq, facendo germinare da essa micronarrazioni variamente incredibili sulla base di un intreccio di ricordi personali e materiali reperiti in rete; in Fotoromanzi sono invece partito da molteplici materiali abbandonati nel mio archivio riconfigurati a posteriori con escamotage letterari di vario tipo - dalla barzelletta, al saggio filosofico, al racconto umoristico o intimo.

• In “Ignari Totius Corporis” ho sviluppato il rapporto tra fotografia e immaginatio “in res”, cioè a partire da un contenuto specifico di carattere personale, producendo però questa volta non testi proiettivi, ma facendo proliferare la fotografia stessa all’interno di altri mezzi espressivi: dal disegno all’elaborazione 3d, a vari tipi di scultura fino a installazioni interattive, a oggetti d’uso e a un vero e proprio zodiaco alternativo.

• In “Automated Teller Machine”, con Pietro Belotti, abbiamo reso mute delle fotografie di strumenti di uso comune (sportelli bancomat) cancellando parole e frasi casualmente presenti e le ho trascritte su un altro supporto, riformulate come poesie/scontrini, per poi restituirle alle fotografie come nuove voci provenienti dal loro interno.


Approfondimento sulla fotografia

Per quanto possa apparire muta e silenziosa, e ci faccia credere di affacciarci su un abisso di indicibile silenzio o sull’invisibile stesso della presenza, ogni fotografia, in quanto reperto/traccia prodotto da una macchina secondo precise intenzioni oppure persino essendone privo, contiene in realtà infiniti testi, che siano generativi o proiettivi, tali che non possono esaurirla. Qualità che non a caso condivide con il linguaggio per immagini, la lirica. Se “vediamo” una fotografia è tuttavia perché contiene sterminati saperi che vi riconosciamo e vi leggiamo, cioè perché è enormemente ciarliera.  

Se prodotta da un autore umano ne contiene la posizione, la collocazione, le intenzioni, e poi la formazione, le esperienze individuali e collettive, i saperi da cui è parlato nel tempo in cui ne è stato formato fino ai contenuti e ai moventi inconsapevoli da cui è spinto e attratto.
Se effetto di una macchina (effetto di secondo grado, poiché in generale già lo è), ne contiene tutto il sapere incorporato - meccanico, ottico, chimico, fisico e teoretico - e l’inconscio delle serie storiche che ne hanno permesso la produzione - sapere in effetti sterminato.

Chi poi la guardi non la può vedere se non proiettandovi sopra i propri saperi e sentimenti così che ciò che vi proiettiamo sopra la ricopra quasi completamente. Possiamo vederla solo ricoprendola con ciò che già sappiamo o, meglio detto, con le operazioni che il nostro corpo virtuale è chiamato a fare abitando quei segni e quelle forme, in un tempo e in un luogo determinati, memori di altri tempi e saperi. L'invisibile quindi non è affatto l'ineffabile e indicibile, al contrario: è il continuamente detto all'infinito. L'invisibile altro non è che il limite del conosciuto che lo rende visibile, ossia: l'invisibile è l'immagine stessa che stai guardando la quale, svelandosi, si nasconde alla vista, nonché il nostro compito infinito di rivelarla di nuovo.

Niente affatto silenziosa o indicibile o dicibile solo per formule da iniziati: la figura è la sorgente di infiniti “modi di dire”. L'emozione che in quanto traccia provoca a volte in chi la guarda allude non a un fondo oscuro e misterioso, maa un comune provenire. E questa emozione non si produce guardando, ma ri-guardando: è un effetto diretto del fare traccia, del segno, della figura.


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