Traversata

uno
Dalla finestra una luce soffiata lascia una macchia gialla, il confine naturale che divide in due l’enclave del gomito dal resto del braccio. L’ombra manderà gli ambasciatori, reclamerà il polso irredento. Posate le bucce di mela rosse avvizziscono sul tovagliolo, il ferro sgomita nelle molecole, si lega all’aria, precipita prosciugandosi nel letto di cellulosa. Vedi, anche la scrivania si apparecchia da sola, una tela improvvisata raccoglie nature morte, il ricciolo ripiegato che scava anfratti nel foglio e fruttifica; l’artigiano moltiplica gesti a caso e prima o poi nella vertiginosa percentuale costruirà l’oggetto esatto, insieme a infiniti mostri.

due
L’inizio è così dimesso che avviene in segreto, anzi è quasi un pensiero a ritroso riconosciuto più tardi. Forse l’abbiamo inventato per nostalgia. L’inizio non è nulla, è il tuo corpo o una sua piega che si avvolge in una spira di muco intorno a un frammento caduto dalla coda, un automatismo interno come il battito del cuore che non decidi, nel frastuono della folla il moto del respiro che non tace. Questo è lo spazio vuoto, la fessura di nulla. Prende l’acqua leggero, l’increspatura d’onda sfiorata dalla mano. Salpa così, in un punto smemorato e lontanissimo, avvolto nella nebbia chiara, mai più esistito.

tre
Come si articola un alfabeto d’acqua, la distesa di memoria da solcare nel viaggio delle mucose al loro approdo, il riepilogo che ogni volta rifà a spirale l’orizzonte. Mi restituisci come nel suo doppio la conchiglia, specchio liquido in perigliosa traversata verso di te. Computi già nella scansione delle ossa minuziose, impilate. Caprioli sul fondo di quell’oceano sterminato.

quattro
Io che ho sempre odiato le storie mi appresto a coniugare tutti i tempi, a tessere il racconto delle dita sul bordo della coperta, il muso del cane alato che ancora esplorerà la ceramica. Dopo che ho compitato la tabella dei significanti lasciando che goccia su goccia si formasse il sottile velo di calcare, il lascito d’acqua nell’endoscheletro, il legno maestro che regge l’intravatura della fiancata e bordeggia ora al largo, nel sogno salmastro che si coagula, giovane forziere nel ventre della nave dorata.

cinque
Nessuna mappa o bussola per costeggiare il profilo di questo continente di carne, nessun compasso per tracciare rotte intorno a mostri marini, cavalcati dorsi di balene, creature che germinano come il fiore delle muffe dalla superficie della carta dove si sofferma il dito smemorato, o isole di leggenda. Eppure le ascisse e le ordinate sono decise fin nella minuzia del numero esatto, arrotolato il codice delle forme e dei colori e il suo dipanato progredire e mutare al millimetro, già al lavoro lo sciabordio dei remi che mulinellano il liquido e addensano strati su strati, cieli su cieli, la curva dello sguardo che all’infinito ripeterà questo lento veleggiare in tondo.

sei
Nessuno mai entrerà nelle secche perché non hanno termine né inizio: da lì puoi solo tornare. La superficie delle acque immobili svapora in bave lucenti, la mente affonda nel limo e si distilla; coaguli di immagini e sirene, viluppi d’aria densa che avvampa in spire accecate, veleni. Il miraggio svela il segreto, mostra lo specchio tortuoso delle ascendenze e delle discendenze. In trasparenza i volti si sovrappongono, i profili e le carni. Rischia di perdermi la visione di ciò che non saprai, che io non ho saputo; il tuo passo innocente e crudele, il mio che ha già calpestato. Mio padre mi raggiunge finalmente alle spalle. Tu sei al largo in acque profonde, senza nome.

2006

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