L’incubo del narratore

La sovrabbondante, perturbante, disperata bellezza di ciò che sorge e tramonta.
Ad esempio, camminare molto, molto lentamente lungo un’immaginaria linea retta nel corso affollato, mentre il mondo ti viene incontro. E ciò che viene incontro compare dal nulla nel tuo orizzonte e procede da ogni punto intorno, sbocciando, svanendo.
Visi bellissimi e insignificanti, frammenti di camminate, brani di conversazione che ascolti un istante, da ogni punto suoni che sorgono e svaniscono, tracce di corpi che caracollano attraversando lo spazio, parole pronunciate e sospese, toni di voce nel buio illuminato a giorno, “la superficie divenuta calma in cui fluttuano determinazioni slegate, come membra sparse, teste decollate, braccia prive di spalle, occhi senza fronte”.
È quello che metterò nel sottotetto.
Il tempo di attesa non è che.
L’amico di Giuseppe ci ha.
Se vuoi lo chiamo però.
Trovato un appartamento che.
L’infinita sovrabbondanza di ciò che appare, perfetto nella superficie, nelle modulazioni che presenta, le delicate piegature di carne da cui il mondo esplode e tramonta. Ogni cosa procede verso di te. Puoi fermare uno a uno, nel mezzo del corso, osservare il suo viso, ogni elemento fino alla curvatura della palpebra, alla peluria, alle pieghe più riservate, allo scintillio acquoso dell’occhio. Oppure potresti fermare ogni persona e chiederle cosa stavi dicendo? e farla proseguire, spiegare, farti dire, farti narrare la storia, risalire a una camera, un armadio, i vestiti, le fotografie, il pettine sulla mensola, farti dire la verità, fartela dire del tutto, finalmente.
A metà del corso quattro indios suonano bach con fisarmonica e violino. Sulla soglia una nuvola invisibile e assordante di passeri nascosti tra le foglie.

-> Illuminati

4.1.2005

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