Image prompt

Una delle cose secondo me interessanti che emerge da Midjourney - app per la produzione di immagini attraverso A.I. - è quanto il rapporto con i testi sia costitutivo della costruzione dell’immagine attraverso l’intelligenza artificiale. Nel programma in questione la faccenda è esplicita, serve un testo scritto per produrre un’immagine: del resto lo strumento esosomatico è sempre una funzione del corpo fisico astratta ed estrapolata e come tale il suo uso è sempre “esplicito” perché deve essere riprodotta e programmabile, che sia un bastone che riproduce e prolunga braccio/mano o l’A.I. che riproduce e prolunga la cultura come automa, come “macchina linguistica autonoma” specifica della specie Sapiens. Ma sappiamo d’altro canto che non esiste un’immagine che sia immagine e basta, non esistono immagini pure o mute, innocenti o trasparenti: ogni immagine contiene sempre dei testi impliciti generativi, che stanno nelle intenzioni consapevoli o inconsapevoli di chi la produce, per quanto vaghe o interconnesse esse siano con la generalità della macchina del linguaggio e della cultura in cui egli opera, e può produrre a sua volta infiniti testi interpretativi, che infiniti osservatori possono attivare quando proiettano il proprio “corpo virtuale” nell’immagine abitandola, il che non vuol dire che qualsivoglia testo vada bene, perché gli elementi dell’immagine costituiscono comunque un vincolo. E d’altro canto non esiste testo che non sia pieno di immagini: il linguaggio verbale è un tessuto di usi figurati, contiene la trama dei loro spostamenti, delle metafore, l’uso di “figure in forma di segni”. Linguaggio verbale e immagini sono gemelli siamesi, parte di un’unica capacità di fare segno e figura.


((mmagine tratta da ”One shot”, 2107 - in progress)

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